DUE,TRE, CENTO MARZABOTTO! Kappler, Mengele, Riina al potere a Tel Avivi e in azione a Gaza (di Fulvio Grimaldi http://fulviogrimaldi.blogspot.com/)

Non c’è crisi umanitaria a Gaza
(Tzipi Livni, ministro degli esteri israeliano)

La
prima volta che apprendemmo che i nostri amici venivano macellati ci fu
un grido d’orrore. Poi ne vennero massacrati cento. Ma quando ne
rimasero uccisi mille e il macello non finiva, si estese una coperta di
silenzio. Quando il male arriva come la pioggia, nessuno urla: alt!
Quando i crimini si ammucchiano diventano invisibili. Quando le
sofferenze diventano insopportabili, le grida non si sentono più. Anche
le grida cadono, come pioggia d’estate
.
(Bertold Brecht)

Ai
pudichi e sdegnati obiettori agli accostamenti nazi-sion: Kappler
rastrellava civili a centinaia, li rinchiudeva e li ammazzava, Riina è
il pregiudicato, mandante ed esecutore di assassinii mirati e di
stragi, Mengele è quello che, per far avanzare la scienza e la
tecnologia, chimicizzava e devastava organismi umani vivi. Qualcuno mi
dica la differenza tra Kappler e il ministro della difesa Barak e tutti
i suoi generali, tra Riina e il corrotto e inquisito capocarnefice
Olmert, tra Mengele e chi ha perfezionato e adoperato le armi al
fosforo, chimiche, termo bariche, su masse umane condensate.

L’altra sera, quando in tutta Italia si è celebrato il decimo anniversario della morte di Fabrizio De André, il poeta-musicista in direzione ostinata e contraria
dal primo all’ultimo giorno, ho frequentato un’analoga funzione in un
paesino dell’Alto Lazio. Un gran bel documentario con le testimonianze
e i canti di amici e colleghi, contemporanei e successivi, e poi…Erri
de Luca. Per molti di voi si tratta meramente dello scrittore e
bibliomane che ha tradotto e propagandato, con zelo da neofita travolto
dall’illuminazione biblica, la Genesi, il Talmud e molte altre parti di
quell’invenzione letteraria e storica di alcuni furboni che, nel VI
secolo A.C., si sono inventati, a scopi nazionalimperialistici, una
storia fantastica delle origini del mondo e del popolo eletto, perlopiù
plagiata da altri miti più antichi. Per me e alcuni vecchi compagni,
Erri era, invece, prima della conversione-perversione all’ebraismo in
chiave sionista, il rispettato dirigente di Lotta Continua e il
combattivo responsabile del miglior servizio d’ordine che il movimento
’68-’77 abbia mai avuto. Canticchiato un paio di canzoni di De André e
affabulato il folto pubblico con due, tre, simpatici aneddoti di
impronta sociale e antiguerra, Erri ha chiuso con la conferma che, oggi
come allora, gli fanno schifo le guerre, ma sostiene le lotte di
liberazione di popoli occupati o invasi. Bravo, bene, sette più.

Poi
ha sollecitato domande e osservazioni dal pubblico e, avendo l’oratore
collegato il tema della guerra con quanto di stupendamente valido
sull’argomento pervade il lavoro di De André, avendo perfino menzionato
Iraq e Afghanistan, è venuto spontaneo che qualcuno lo interpellasse
sulla mancanza, nel suo elenco, di una terza schifezza di guerra,
quella in Palestina. La risposta è stata di carattere al tempo stesso
squisitamente astuta e scientificamente demenziale: “E’ capitato
che li nascessero e si scontrassero in guerre continue le tre religioni
monoteistiche, è sempre stato così e sempre continueranno a massacrarsi
“.
Chiuso l’argomento di chi ha portato via un paese a chi. Con
tanti saluti ai mille palestinesi rinchiusi in un lager, affamati,
devastati e poi uccisi in massa, e a tutti gli altri sterminati da
sessant’anni a questa parte. E non senza rilevare che di quei tre
monoteismi, uno fa mattanze, uno fa silenzio e il terzo viene fatto
fuori. Mi è allora capitato di rivolgermi al pio e rassegnato
fatalista: “35 anni fa marciavamo insieme in testa a cortei per la
Palestina, esattamente nel segno, che tu hai appena ribadito, della
giusta lotta dei popoli contro invasori e occupanti. Non credi che la
tua analisi odierna, con la quale ti rifugi e nascondi i serial killer
israeliani dietro la panzana delle tre religioni che escatologicamente
si devono fare la guerra, trascuri che carneficine tipo Gaza vengono
perpetrate, dagli stessi e affini, anche là dove non c’è nessuna triade
religiosa ad accapigliarsi? Trascuri anche che il presunto scontro tra
monoteismi (che gli dei li stramaledicano!
questo non glie l’ho detto)
fino a ieri era tra i teocrati israeliani e un fronte palestinese e
arabo assolutamente laico, che lottava nel nome dell’anticolonialismo e
non certo di Allah. Soprattutto trascuri qualche piccolo interesse
economico (acqua, petrolio, mercati, forza lavoro), di classe,
militarindustriale, geostrategico, che ha fatto promuovere alle destre
democratiche e non democratiche del mondo (pure l’URSS) l’invasione di
milioni di “ritornanti” (che non erano mai stati dove “ritornavano”),
la liquidazione di un popolo, un cuneo incastrato nella nascente unità
anticolonialista araba?”
Domandina semplice, semplice, no? La risposta dell’integerrimo letterato e rivoluzionario: “A questo non ribatto”. Disse, salutò e si dileguò, insalutato ospite per davvero. Paura, eh?

Ho
citato l’episodio perché Erri De Luca è uno che fa opinione, spaventosa
opinione, ma opinione. In questo campo agisce sul fianco, nella
galleria di servizio, agli ultrà della lobby ebraica annidati nei due
partitoni di destra (intendo PDL e PD), nel “Corriere”, nella
“Repubblica”, in tutta la televisione (con attenuanti per il TG3), e
nel chiacchiericcio della decerebrazione, indotta dai primi, nei bar,
nelle sale d’aspetto, in tram. Ma fa addirittura da capogita agli
escursionisti (Morgantini si è fermata 120 minuti a Gaza) del pacifismo
nonviolento equidistante o, quanto meno, simmetrico. Quelli che su ogni
scena di energumeno che strangoli un ragazzino o calpesti un neonato
fanno piovere le geremiadi delle loro querule invocazioni al dialogo,
all’incontro, al baciamano della gazzella alla pantera. Non ricambiato.
Già, perchè chi si dice equidistante o simmetrico, automaticamente
favorisce il più forte. Alla loro pietistiche, a volte strumentali
perorazioni per il passaggio dalla macelleria al Circolo della Caccia
(per soli soci di buon lignaggio, tipo Abu Mazen), va ricordato che
nella lunga storia dei conflitti umani, delle oppressioni, dei poteri
assoluti come quelli attuali, chi opprimeva e aveva il potere per
farlo, mai s’è visto rinunciare alla sua posizione senza essere stato
preso per il collo e buttato giù.

Ho ripetutamente detto una
banalità: tra chi nella mia casa mi impedisce di spegnere l’incendio
appiccato dal nemico e chi da fuori mi assedia, cerco di neutralizzare
prima il sabotatore, consciamente o inconsciamente collaborazionista, e
poi sono in grado di difendermi contro l’assediante. Quello che mi dà
fuoco lo conosco: mi insegue da sempre. Ma il primo sta tra i miei e
potrebbe anche convincere gli altri a unirsi a quel disarmo
unilaterale, privandomi delle difese. Sono coloro che, a ogni
riemergere di movimenti di protesta che antepongano la giustizia per i
vivi alla pace degli zombie, che illustrino come il nero stia di qua e
il bianco di là, stavolta indiscutibilmente, sollevano contro-ondate di
inchiostro per affogarci nelle acque nere dell’equidistanza, dei
guerrafondai che si difendono (da chi hanno da sempre aggredito), ma, perbacco, anche degli estremisti, integralisti, terroristi. Cattivo il grosso, cattivo il piccolino, chi è che continuerà a menare?

Qui,
o si stabiliscono altri rapporti di forza, a livello interno
(resistenza palestinese e dissenso ebraico) e internazionale (scelte di
governo che si modifichino sotto la spinta delle masse, moltiplicazione
dei Chavez, boicottaggio universale), o c ‘è poco da cicalare di
dialogo. Così abbiamo avuto la contromanifestazione concertativa CGIL
alla manifestazione dei sindacati di classe, così abbiamo oggi una
contromanifestazione di tutti gli associazionisti delle compatibilità,
Tavola della Pace, Acli, Ponte per… Arci, Cgil, cattocaritatevoli vari,
Legambiente, Ovadia, Parlato, quei lettori che “il manifesto”, nello
spirito islamofobo di Giuliana Sgrena, privilegia nella sua rubrica
delle lettere e che, facendo eco alla giornalista Manuela Cartosio,
esprimono tutto il loro “disagio” (di cattolici? di laici? di razzisti?
) a trovarsi in mezzo a manifestanti che pregano Allah. Si mettano in
testa che è il loro Allah, a me del tutto estraneo, ma la cosa non
conta una pippa, a dargli la forza di tenere in piedi la dignità e,
domani, la vita della Palestina e non solo. Le organizzazioni e i
partiti della sinistra “radicale”, le associazioni del movimento, che
già il 3 gennaio avevano messo in campo la protesta, eminentemente
palestinese e islamica (con contorno di compagni autoctoni), hanno
indetto una manifestazione nazionale per il 17 gennaio. Stanno aderendo
centinaia di organismi da tutta Italia. Cosa fa la banda dei quattro
chierici della nonviolenza a tasso variabile? Indice per la stessa
giornata una sua kermesse “nazionale” nell’ecumenica Assisi. Là dove
non si conoscono nemici, ma soprattutto si evitano certi amici, e tutto
si risolve in scambi di doni e benedizioni. Cosa gli impediva di dare
il proprio contributo a una piattaforma di ottime persone, interpreti
dei sentimenti e dei pensieri degli interessati di qua o di là dal
mare, che esige la fine di una mattanza senza confronti per brutalità e
criminalità e, dunque la tregua (che deve essere prima degli assalitori
e poi di chi si difende) subito? Sapete cosa li faceva rabbrividire di
questa piattaforma? Che non si diceva veltrinottianamente: “Si deve
fermare l’attacco, ma anche il lancio di Kassam” e ci
si asteneva dal demonizzare i “fondamentalisti”. E ciò contaminava
questi molli e puri. Vivono nella speranza che ai carri armati
israeliani si mettano cingoli di gomma e che sulla torretta rientri a
Gaza il “moderato” Abu Mazen. Basta con questa imbarazzante Hamas. Se
poi avessero dovuto assistere al rogo di una bandiera USraeliana,
avrebbero dovuto precipitarsi dal confessore per denunciare
l’involontaria collusione con la blasfemia. Intanto vanno a fuoco
centinaia di bambini sotto il fosforo bianco.


In tutto il mondo
si succedono e crescono manifestazioni terribilmente incazzate, a
centinaia di migliaia assediano ambasciate, invadono e paralizzano
città, circondano i palazzi del potere e li subissano di scarpe
all’irachena, si scontrano con la polizia, come in tutto il paese di
nuovo l’Onda greca (la nostra che fa?). Qui una secchiata di vernice
rossa, tratta dall’oceano di sangue palestinese, sulle sedi dello Stato
terrorista e dei suoi sicofanti provoca il virulento sdegno e
l’immediata mistificazione: “Teppisti con rigurgiti antisemiti”.
Metterei la barba nel camino che così la pensano anche quelli di
Assisi. Poi ci sono i fascisti che, terminali della provocazione
cossighiana, si sono messi a rubare alle forze antimperialiste anche il
tema dell’antisionismo e della solidarietà con i palestinesi. Fanno
come a Piazza Navona: contro i baroni universitari per finta e a favore
sul serio della fascistizzante Gelmini. Tocca tenerli d’occhio, fanno
in piccolo il lavoro di Al Qaida e ricevono l’input dalle stesse fonti.
Ne deve uscire la formula fascisti-uguale-terroristi-uguale-sinistre
antimperialiste. Ai primi due la paga, agli ultimi le mazzate.

A tutti offro una risposta che non si sarebbe potuta formulare meglio. E’ un’istruttiva epistemologia di Israele.

Stefano Sarfati Nahmad
Da il Manifesto, 9/1/9.

Ascolta, ascolta Israele!
Hai
fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori
dicendo che li hanno usati come scudi. Non so pensare a nulla di più
infame. A distanza di una generazione, in nome di ciò che hai subito,
hai fatto lo stesso ad altri: li hai chiusi ermeticamente in un
territorio, e hai iniziato ad ammazzarli con le armi più sofisticate,
carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di
notte il cielo come se fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti
palestinesi e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una sconfitta
per te e per l’umanità intera.
Ascolta Israele!
Io non rinnego la
mia storia, la storia della mia famiglia, che è passata dalla Shoah.
Però rinnego te, lo Stato di Israele, perché hai creduto di poter far
valere il credito della Shoah per liberarti del popolo palestinese e
occupare la sua terra. Ma non è così che vanno le cose, non è così la
vita. Il popolo di Israele deve vivere di vita propria e non vivere
della morte altrui.
Ascolta Israele!
Io non rinnego la mia
storia, la storia della mia famiglia che è passata dalla Shoah, ma io
oggi sono palestinese. Io sto dalla parte del popolo palestinese e
della sua eroica resistenza. Io sto con l’eroica resistenza delle donne
palestinesi che hanno continuato fare bambine e bambini palestinesi nei
campi profughi, nei villaggi tagliati a metà dai muri che tu hai
costruito, nei villaggi a cui hai sradicato gli ulivi, rubato la terra.
Sto con le migliaia di palestinesi chiusi nelle tue prigioni per aver
fatto resistenza al tuo piano di annessione.
Ascolta Israele!
Non
ci sarà Israele senza Palestina ma potrà esserci Palestina senza
Israele, perché il tuo credito, ormai completamente prosciugato dalla
tua folle e suicida politica, non era nei confronti del popolo
palestinese che contro di te non aveva alzato un dito, ma era nei
confronti del popolo tedesco, italiano, polacco, francese, ungherese e
in generale europeo; ed è colpevole la sua inazione.

Ascolta
Israele, ascolta questi nomi: Deir Yassin, Tel al-Zaatar, Sabra e
Chatila, Gaza. Sono alcuni nomi, iscritti nella Storia, che verranno
fuori ogni qualvolta si vedrà alla voce: Israele.

DA DIFFONDERE E DENUCIARE IN TUTTI I PAESI
Un sito di criminali http://stoptheism.com/
invita ad uccidere i pochi volontari che prestano assistenza sanitaria
a Gaza sotto le bombe israeliane.Si tratta dei volontari dell’ISM
(International Solidarity Movement), americani, australiani, spagnoli,
italiani, ecc.da cui provengono le rare notizie sulla reale entità
dell’aggressione israeliana a Gaza. Tra di essi, Vittorio Arrigoni,
cooperatore e attivista dei diritti umani.E’ un vero e proprio
incitamento all’assassinio supportato da foto segnaletiche. E’
inconcepibile che esso sia ancora on-line. Il Governo e il Ministero
degli Affari Esteri si attivino subito per chiederne l’ immediato
oscuramento e chiusura e per assicurare i responsabili alla giustizia.

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La furia sacrificale di Israele e le sue vittime a Gaza

 
di
Ilan Pappe *



La mia visita di ritorno a casa in Galilea è
coincisa con l’attacco genocida israeliano contro Gaza. Lo stato,
attraverso i suoi media e con l’aiuto del mondo accademico,
ha diffuso una voce unanime – persino più forte di quella udita
durante l’attacco criminale contro il Libano nell’estate
del 2006. Israele è ancora una volta divorata da una furia
sacrificale che traduce in politiche distruttive nella Striscia di
Gaza.

Questa autogiustificazione spaventosa per l’inumanità
e l’impunità non è soltanto sconcertante, ma è
un argomento sul quale soffermarsi se si vuole comprendere l’immunità
internazionale per il massacro che infuria a Gaza. E’ anzitutto
fondata su bugie pure e semplici trasmesse con una neolingua che ricorda
i giorni più bui dell’Europa del 1930. Ogni mezz’ora
un bollettino d’informazioni su radio e televisione descrive
le vittime di Gaza come terroristi e le uccisioni di centinaia di
persone come un atto di autodifesa. Israele presenta sé stessa
al suo popolo come la vittima sacrificale che si difende contro un
grande demonio.

Il mondo accademico è reclutato per spiegare
quanto demoniaca e mostruosa è la lotta palestinese, se è
condotta da Hamas. Questi sono gli stessi studiosi che demonizzarono
l’ultimo leader palestinese Yasser Arafat nel primo periodo
e delegittimarono il suo movimento Fatah durante la seconda intifada
palestinese. Ma le bugie e le rappresentazioni distorte non sono la
parte peggiore di tutto questo.

Quello che indigna di più è l’attacco
diretto alle ultime tracce di umanità e dignità del
popolo palestinese. I palestinesi di Israele hanno mostrato la loro
solidarietà con il popolo di Gaza e ora sono bollati come una
quinta colonna nello stato ebraico; il loro diritto a restare nella
loro patria viene rimesso in dubbio data la loro mancanza di sostegno
all’aggressione israeliana.

Coloro che hanno accettato – sbagliando, secondo
la mia opinione, di apparire nei media locali sono interrogati e non
intervistati, come se fossero detenuti nelle prigioni dello Shin Bet.
La loro apparizione è preceduta e seguita da umilianti rilievi
razzisti e sono sottoposti all’accusa di essere una quinta colonna,
un popolo fanatico e irrazionale. E ancora questa non è la
pratica più vile. Ci sono alcuni bambini palestinesi dei Territori
Occupati curati per cancro negli ospedali israeliani. Dio sa quale
prezzo devono pagare le loro famiglie per poterli ricoverare. La radio
israeliana va ogni giorno negli ospedali per chiedere ai poveri genitori
di dire agli ascoltatori israeliani quanto è nel suo diritto
Israele nel suo attacco e quanto demoniaco sia Hamas nella sua difesa.

Non ci sono confini all’ipocrisia che una furia
sacrificale produce. I discorsi dei generali e dei politici si muovono
in modo erratico tra gli autocompiacimenti da un lato sull’umanità
che l’esercito mostra nelle sue operazioni “chirurgiche”
e dall’altro sulla necessità di distruggere Gaza una
volta per tutte, naturalmente in un modo umano. Questa furia sacrificale
è un fenomeno costante nella espropriazione israeliana, e prima
ancora sionista, della Palestina. Ogni azione, sia essa la pulizia
etnica, l’occupazione, il massacro o la distruzione è
stata sempre rappresentata come moralmente giusta e come semplice
atto di autodifesa commesso da Israele suo malgrado nella guerra contro
la peggior specie di esseri umani. Nel suo eccellente volume “I
risultati del sionismo: miti, politiche e cultura in Israele”,
Gabi Piterberg esamina le origini ideologiche e la progressione storica
di questa furia. sacrificale.

Oggi in Israele, dalla destra alla sinistra, dal
Likud a Kadima, dall’accademia ai media, si può ascoltare
questa furia sacrificale di uno stato che è molto più
indaffarato di qualsiasi altro stato al mondo nel distruggere e nell’espropriare
una popolazione nativa. E’ molto importante esaminare le origini
ideologiche di questo modo di comportarsi e derivare, dalla sua larga
diffusione, le conclusioni politiche necessarie. Questa furia sacrificale
costituisce uno scudo per la società e per i politici in Israele
da ogni biasimo o critica esterna. Ma ancora peggio, si traduce sempre
in politiche di distruzione contro i palestinesi. Senza nessun meccanismo
interno di critica e senza nessuna pressione esterna, ogni palestinese
diventa un obiettivo potenziale di questa furia. Data la potenza di
fuoco dello stato ebraico può soltanto finire in più
massicce uccisioni, massacri e pulizia etnica.

L’assenza di una qualsiasi moralità
è un potente atto di auto-negazione e di giustificazione. Ciò
spiega perché la società israeliana non può essere
modificata da parole di saggezza, di persuasione logica o di dialogo
diplomatico.

E se non si vuole usare la violenza come mezzo di
opposizione, c’è soltanto un modo per andare avanti:
sfidare frontalmente questa assenza di moralità come una ideologia
diabolica tesa a nascondere atrocità umane. Un altro nome per
questa ideologia è Sionismo e l’unico modo di contrastare
questa assenza di moralità è il biasimo a livello internazionale
del sionismo, non solo di particolari politiche israeliane.

Dobbiamo cercare di spiegare non solo al
mondo, ma anche agli stessi israeliani che il sionismo è un’ideologia
che comporta la pulizia etnica, l’occupazione e ora massicci
massacri.

Ciò che occorre ora non è tanto una
condanna del presente massacro. ma anche la delegittimazione dell’ideologia
che ha prodotto tale politica e la giustifica moralmente e politicamente.
Speriamo che importanti voci nel mondo possano dire allo stato ebraico
che questa ideologia e il comportamento complessivo dello stato sono
intollerabili e inaccettabili e che, sino a quando persisteranno,
Israele sarà boicottato e soggetto a sanzioni. Ma non sono
ingenuo. So che anche il massacro di centinaia di innocenti palestinesi
non sarà sufficiente per produrre questa modificazione nella
pubblica opinione occidentale; è anche più improbabile
che i crimini commessi a Gaza muovano i governo europei a mutare la
loro politica nei confronti della Palestina.

Ma noi non possiamo permettere che il 2009 sia un
altro anno, meno significativo del 2008, l’anno di commemorazione
della Nakba, che non sia riuscito a realizzare le grandi speranze
che noi tutti avevamo, per la sua potenzialità, di trasformare
il comportamento del mondo occidentale verso la Palestina e i palestinesi.
Pare che persino il più orrendo dei crimini, come il
genocidio a Gaza, sia trattato come un evento separato, non connesso
con nulla di ciò che è già avvenuto nel passato
e non associato ad una ideologia o a un sistema.

In questo nuovo anno, noi dobbiamo tentare di riposizionare
l’opinione pubblica nei confronti della storia della Palestina
e dei mali dell’ideologia sionista come i mezzi migliori sia
per spiegare le operazioni genocide come quella in corso a Gaza sia
per prevenire cose peggiori nel futuro.

Questo è già stato fatto, a livello
accademico. La nostra sfida maggiore è quella di trovare un
modo efficace di spiegare le connessioni tra l’ideologia sionista
e le politiche di distruzione del passato con la crisi presente. Può
essere più facile farlo mentre, in queste terribili circostanze,
l’attenzione mondiale è diretta ancora una volta verso
la Palestina.

Potrebbe essere ancora più difficile quando
la situazione sembra essere “più calma” e meno
drammatica.

Nei momenti “di quiete”, l’attenzione
di breve durata dei media occidentali metterebbe ai margini ancora
una volta la tragedia palestinese e la dimenticherebbe sia per gli
orribili genocidi in Africa o per la crisi economica e per gli scenari
ecologici apocalittici nel resto del mondo.

Mentre i media occidentali non sembrano molto
interessati alla dimensione storica, soltanto attraverso una valutazione
storica si può mostrare la dimensione dei crimini commessi
contro i palestinesi nei sessanta anni trascorsi. Perciò il
ruolo degli studiosi attivisti e dei media alternativi sta proprio
nell’insistere su questi contesti storici. Questi attori non
dovrebbero smettere di educare l’opinione pubblica e, si spera,
di influenzare qualche politico più onesto a guardare ai fatti
in una prospettiva storica più ampia.

Allo stesso modo, noi possiamo essere in
grado di trovare un modo più adeguato alla gente comune, distinto
dal livello accademico degli intellettuali, per spiegare chiaramente
che la politica di Israele – nei sessanta anni trascorsi – deriva
da un’ideologia egemonica razzista chiamata sionismo, difesa
da infiniti strati di furia sacrificale.

Nonostante l’accusa scontata di antisemitismo
e cose del genere, è tempo di mettere in relazione
nell’opinione pubblica l’ideologia sionista con il punto
di riferimento storico e ormai familiare della terra: la pulizia etnica
del 1948, l’oppressione dei palestinesi in Israele durante i
giorni del governo militare, la brutale occupazione della Cisgiordania
e ora il massacro di Gaza. Come l’ideologia dell’apartheid
ha spiegato benissimo le politiche di oppressione del governo del
Sud-Africa, questa ideologia – nella sua variante più
semplicistica e riflessa, ha permesso a tutti i governi israeliani,
nel passato e nel presente, di disumanizzare i palestinesi ovunque
essi fossero e di combattere per distruggerli.

I mezzi sono mutati da un periodo all’altro,
da un luogo all’altro, come ha fatto la narrazione che ha nascosto
queste atrocità. Ma c’è un disegno chiaro che
non può essere solo fatto oggetto di discussione nelle torri
d’avorio accademiche, ma deve diventare parte del discorso politico
nella realtà contemporanea della Palestina di oggi. Alcuni
di noi, in particolare quelli che si dedicano alla giustizia e alla
pace in Palestina, inconsciamente evitano questo dibattito, concentrandosi,
e questo è comprensibile, sui Territori Palestinesi Occupati
(OPT) – la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Lottare contro le politiche
criminali è una missione urgente.

Ma questo non dovrebbe trasmettere il messaggio
che le potenze occidentali hanno adottato volentieri su suggerimento
israeliano, che la Palestina è soltanto la cisgiordania e la
Striscia di Gaza e che i palestinesi sono solo la popolazione che
vive in quei territori. Dovremmo estendere la rappresentazione della
Palestina geograficamente e demograficamente raccontando la narrazione
storica dei fatti dal 1948 in poi e richiedere diritti civili e umani
eguali per tutte le persone che vivono, o che erano abituati a vivere,
in quella che oggi è Israele e i Territori Occupati.

Ponendo in relazione l’ideologia sionista e
le politiche del passato con le atrocità del presente, noi
saremo in grado di dare una spiegazione chiara e logica per la campagna
di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Sfidare con mezzi non
violenti uno stato ideologico che si autogiustifica moralmente, che
si permette, con l’aiuto di un mondo silenzioso, di espropriare
e distruggere la popolazione nativa di Palestina, è una causa
giusta e morale.

E’ anche un modo efficace di stimolare l’opinione
pubblica non soltanto contro le attuali politiche genocidarie a Gaza,
ma, si spera, anche a prevenire future atrocità. Ancora più
importante di ogni altra cosa ciò dovrebbe far sfiatare la
furia sacrificale che soffoca i palestinesi ogni volta che si gonfia.
Ciò aiuterà a porre fine alla immunità dell’occidente
a fronte dell’impunità di Israele. Senza questa immunità,
si spera che sempre più la gente in Israele cominci a vedere
la natura reale dei crimini commessi in loro nome e la loro furia
potrebbe essere diretta contro coloro che hanno intrappolato loro
e i palestinesi in questo ciclo non necessario di massacri e violenza.

*Ilan Pappe (http://ilanpappe.com http://electronicintifada.net)
insegna nel Dipartimento di storia dell’Università di
Exeter, Inghilterra

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Saluti di Benvenuto

Inauguro questo nuovo blog con le riflessioni del Professor Pappe. Casomai qualcuno si sognasse ancora di propinarci il dogma reazionario dell’antisionismo=antisemitismo.

 

A seguire ospito l’ultimo articolo del compagno Fulvio Grimaldi sempre sulla questione palestinese

 

 

 
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